Vogliamo restare con le mani in mano?
[Questa è la newsletter che ho mandato il 1° agosto alle persone iscritte alla mia mailing list; scrivo ogni primo giorno del mese e di solito parlo anche di email marketing o più in generale di digital marketing, ma questa volta mi sono presa la libertà di parlare d’altro, avvisando comunque da subito i miei lettori e le mie lettrici che sarebbe stato un messaggio diverso dal solito. Lo ripubblico qui perché ho ricevuto tanti commenti e risposte, ben più del solito, e perché credo che oggi sia di questo che dobbiamo parlare e scrivere.]
Think global, act local
Ho sempre apprezzato lo slogan pensare globalmente, agire localmente: la seconda parte (agire localmente) ci ricorda di essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo, fare la nostra parte, interrogarci sulle conseguenze delle nostre azioni.
Agire localmente, per me, vuol dire trattenermi dal commentare troppo in fretta fatti di cui so poco o nulla. Ho anch’io, come tanti, pensieri orribili e reazioni di pancia, ma tendo a farli decantare invece che metterli per iscritto dove possono alimentare un flame; è l’ecologia della comunicazione a cui mi riferisco nella mia short bio Twitter.
Sull’impatto delle parole e su come usarle per modellare una realtà migliore, rileggere spesso il Manifesto della comunicazione non ostile e le sue declinazioni specifiche nei contesti dello sport, della politica e della scienza. Leggere e rileggere anche le riflessioni di Matteo Gagnor, uno degli sceneggiatori di Topolino, sulla necessità di usare le parole come strumenti e non come armi.
Agire localmente vuol dire scegliere il più possibile di lavorare per progetti che non siano in contrasto con le cose in cui credo.
La coerenza fra la propria visione della vita e quella del lavoro è uno dei punti chiave degli esercizi di Design your life, un libro che applica i principi del design thinking alla ridefinizione del nostro percorso di vita e lavoro.
Agire localmente vuole anche dire chiedermi sempre più spesso se davvero ho bisogno di consumare cose per stare bene, e come posso fare scelte quotidiane che riducano la mia impronta ecologica
Qui puoi calcolare la tua impronta ecologica. Io l’ho fatto da poco scoprendo che, se i quasi 8 miliardi di abitanti della Terra avessero il mio stile di vita, ci servirebbero un po’ più di due pianeti. L’impronta ecologica media è di 1,75 pianeti; infatti il 29 luglio è stato l’overshooting day, il giorno in cui globalmente abbiamo consumato quella che dovrebbe essere la nostra razione annuale di risorse.
Adesso è il momento di pensare globalmente
Non siamo in una situazione business as usual, non si tratta più solo di temperature assurde e fenomeni meteo estremi sempre più frequenti: ci stiamo avvicinando al tipping point, il punto di non ritorno.
Da alcune settimane stanno andando a fuoco le foreste e la tundra dell’Articocon un ritmo mai visto prima, rilasciando in atmosfera enormi quantità di anidride carbonica e accelerando lo scioglimento dei ghiacci; bruciano non solo gli alberi ma anche le torbiere, quindi l’incendio si propaga sotto la superficie del suolo e nessuno capisce come spegnerlo.
I ghiacciai che si sciolgono generano, sulle Alpi, frane e inondazioni; ai Poli, mettono a rischio la normale circolazione delle correnti marine aggravando ulteriormente gli sconvolgimenti del clima. Vogliamo far finta di niente?
La Terra è già cambiata abbastanza
Un conto è saperlo, un conto è vederlo: prenditi mezza giornata e, prima del 10 ottobre, vai al MAST di Casalecchio di Reno che ospita Anthropocene, una mostra pazzesca che racconta per immagini l’impatto che la nostra specie ha avuto e sta avendo sul pianeta. La mostra è gratuita e il MAST è uno spazio bellissimo, dammi retta e se hai figli o nipoti portaci anche loro.
Già che sei in zona Bologna, vai anche a vedere Ex-Africa, al Museo Civico Archeologico; la mostra è aperta fino all’8 settembre ed è un viaggio incredibile nell’arte e nella cultura di un continente, forse addirittura più bello della collezione africana del British Museum.
Se pensi che il nostro problema siano i migranti, sei vittima di un errore di prospettiva: i migranti sono un sintomo, sono persone che scappano da un continente in cui carestie e sfruttamento rendono la vita insopportabile.
Ma se superiamo quel tipping point sempre più vicino, prima di quanto pensiamo i migranti saremo noi, costretti a scappare da aree costiere sommerse, da paesi diventati torridi e in cui l’agricoltura, sconvolta dal cambiamento degli ecosistemi, non produrrà abbastanza da sfamarci tutti.
Diminuire i consumi, piantare alberi, ripensare l’economia e la società
Di questo dobbiamo discutere, di questo dobbiamo pretendere che si occupino seriamente i nostri politici: riconvertire l’economia, piantare alberi ovunque possibile (è una delle poche misure in grado, nel medio termine, di contrastare l’aumento dell’anidride carbonica in atmosfera), cambiare il sistema di valori che ci spinge ad accumulare soldi, oggetti, potere, inventarci un modo di garantire le pensioni agli anziani che non si regga sull’espansione demografica perché siamo già troppi per questo pianeta e non è pensabile crescere ancora, altro che appelli a tornare a far figli!
Sembra impossibile? Lo so, ma questa non è una scusa per non fare nulla.
L’alternativa è fare la fine della rana bollita un po’ alla volta, una metafora neanche tanto fantasiosa viste le previsioni del tempo.
E comunque non potrei guardare in faccia mio figlio se nemmeno ci provassi.
Ora torno a pensare al lavoro
La prossima newsletter (se vuoi riceverla, ti puoi iscrivere da qui) avrà dentro un sacco di email marketing, prometto: fatto comunque pensando alla sostenibilità, a smorzare il rumore per tornare a parlarsi, a usare le parole come strumenti e non come clave.