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Tre giorni in Appennino, fra La Calla e Camaldoli

Era un po’ che meditavo di portare mio figlio a fare un’escursione a piedi passando qualche notte fuori, e finalmente l’ho fatto, scegliendo un percorso che è un vero e proprio classico per chi come me ha iniziato a fare trekking in Romagna: il sentiero La Calla – Camaldoli.

L’itinerario corre in gran parte sul crinale, lungo il sentiero 00 detto in questo tratto La Giogana, perché era il percorso lungo il quale i buoi “aggiogati” trainavano i tronchi tagliati nella foresta.

Impossibile perdersi perché il sentiero è largo e ben tracciato e, come molti sentieri di crinale, facile da seguire; ne trovate la descrizione su tantissime guide nonché nel pannello all’inizio di ogni tappa. Se volete documentarvi, consiglio di acquistare, in uno dei tanti Centri Visita del Parco, la guida “A piedi nel Parco“, e comunque di partire con una buona carta escursionistica 1:25.000.

Così, la mattina della vigilia di Ferragosto, io Guido e l’ingegnere siamo partiti da Ravenna (con la solita ora di ritardo rispetto alla mia tabella di marcia ideale) diretti verso il Passo della Calla (mt. 1320), dove abbiamo lasciato l’auto per metterci sul sentiero alle 11 del mattino. In un’estate normale, sarebbe stato meglio partire un po’ più di buon’ora, ma quest’anno la stagione è quella che è, e quel giorno il crinale era spazzato da raffiche di vento freddo che ci hanno tormentato per tutto il giorno.

Il sentiero corre in mezzo alla foresta, una splendida faggeta bella in tutte le stagioni: l’ho percorsa in autunno ammirando i colori delle foglie, e d’inverno stregata dalle sculture gelate della galaverna, e ne è sempre valsa la pena.

sulla Giogana

Verso l’una, prendendocela comoda – che non siamo più abituati a camminare con lo zaino carico – siamo arrivati a Poggio Scali, il punto più alto di quel tratto di crinale (mt.1520); la cima si raggiunge per una deviazione dal sentiero (rispettate le indicazioni, ché siete nel mezzo di una riserva forestale integrale!), e da lì si può ammirare tutto il crinale, e, nelle giornate limpide, vedere perfino il mare.

poggio scali

Dopo quasi tre ore di cammino dalla Calla, dal crinale si stacca sulla destra il sentiero no.68 che scende ripido verso Camaldoli. Quasi subito il bosco cambia e la faggeta lascia il posto agli abeti bianchi, altissimi e fitti: una foresta curata nei secoli dai monaci che ne hanno gestito i tagli e le piantumazioni, creando un ecosistema apparentemente “naturale” ma in realtà modellato dagli uomini e dalla storia.

E io, sarà perché sono i sentieri in cui ho iniziato a fare trekking, sarà perché è la mia terra, sarà perché ho sentito tante volte raccontare le storie di questi boschi e la vita delle persone che li hanno abitati fino a poche decine di anni fa, ecco io ogni volta me ne innamoro di nuovo: di un amore forse più usato e domestico di quello per le cime spettacolari delle Dolomiti, ma non per questo meno profondo.

La discesa verso Camaldoli è ripida, e le ginocchia già provate chiedono attenzione, così ci prendiamo un po’ più tempo dei 20′ previsti, ma non importa. Il bosco è tanto fitto che fino all’ultimo momento il muro dell’Eremo resta nascosto nella foresta, e te lo trovi davanti a sorpresa: ecco, qui gli escursionisti “tosti” fanno tappa e tornano indietro in giornata lungo lo stesso percorso, invece noi facciamo una piccola sosta – siamo troppo stanchi e sudati per visitare l’Eremo adesso – e proseguiamo in discesa, verso il Monastero.

Fra l’Eremo e il Monastero potete scendere o lungo la strada asfaltata, leggermente più lunga ma meno accidentata, o per il sentiero che taglia i tornanti e segue in molti punti il tracciato dell’antica mulattiera (noi, trascinati da un instancabile Guido evidentemente bene allenato dopo le due settimane di Alto Adige abbiamo fatto il sentiero). In tre quarti d’ora si arriva al Monastero e qui ci sono il Centro Visite, un paio di alberghi-ristoranti-bar e una focacceria dove potete rifornirvi in abbondanza per il pranzo al sacco del ritorno.

Albergo Camaldoli

Sia l’Eremo che il Monastero hanno una foresteria, dove ovviamente vengono ospitati gruppi o, più raramente, persone singole, motivati da una spinta religiosa o dal bisogno di ritirarsi in meditazione, o partecipare a una delle iniziative di preghiera del Monastero (che, nei secoli, ha sempre funzionato come struttura di ospitalità a supporto e tutela della quiete dell’Eremo).

Io stessa, saranno ormai passati più di trent’anni, ho dormito all’Eremo insieme agli scout, e ne ho un ricordo bellissimo, nonostante l’inverno e il freddo patito durante la notte. Oggi che sono diventata una viandante laica e senza dio ho prenotato all’albergo Camaldoli; l’altra opzione è la Locanda Tre Baroni (attenzione, le foto che vedete nel sito sono di un’altra struttura, quella deluxe a Poppi, mentre l’albergo di Camaldoli è del tutto simile a quello dove abbiamo dormito noi), o, se siete eroici e vi siete portati la tenda sulle spalle, il campeggio più sotto.

L’albergo è vecchiotto ma confortevole, i pavimenti delle camere sono tavolati di abete annerito dal tempo, da cui nelle primissime ore del mattino filtra il profumo dei dolci cotti nel forno al pianterreno.

A cena potete recuperare tutte le calorie consumate sui sentieri, ribaltandovi di tortelli, porcini, tagliata, formaggi e salumi del Casentino: dignitoso anche il vino della casa, prodotto nelle vigne dei monaci, e da assaggiare gli amari, sempre prodotti nella distilleria del monastero.

tagliata con funghi porcini

Il nostro programma era di passare due notti a Camaldoli, per fare un po’ di pausa fra l’andata e il ritorno a piedi; in realtà durante il secondo giorno tutto abbiamo fatto tranne che stare in pausa, anche perché intorno al monastero c’era la bolgia dei gitanti di Ferragosto da cui volevamo tenerci il più lontano possibile.

Così, di prima mattina, abbiamo visitato il Monastero e la sua antica Farmacia, con alambicchi, mortai, vasi e mirabilia, e una piccola ma molto interessante biblioteca di manoscritti e libri antichi. La tappa è altamente consigliata – l’unica cosa che ci ha trattenuti dal fare incetta di liquori e creme è stato il pensiero che avremmo dovuto portarli indietro in spalla, ma ci torneremo.

antica farmacia dei monaci di camaldoli

Poi siamo scappati su per il sentiero natura, un percorso circolare di un’ora e mezza circa che mostra vari aspetti del bosco, dall’abetina al bosco misto di aceri e querce, fino a un antico castagneto dove ancora resiste il monumentale Castagno Miraglia, età stimata dai 400 ai 500 anni – e ce ne sono altri, altrettanto belli.

il Castagno Miraglia

Mangiata la nostra schiacciata nei pressi del Castagno Miraglia e terminato il sentiero natura, siamo risaliti all’Eremo, assediato dalla bolgia di Ferragosto, a cui ci siamo accodati per fare una delle brevi visite guidate all’interno.

Eremo di Camaldoli

L’Eremo è un luogo che riesce, perfino il 15 di agosto, a comunicare un senso di pace e liberazione attraverso il silenzio. Mi è sembrato del tutto naturale scoprire che, una volta alla settimana, uno dei monaci tiene sessioni di yoga e meditazione, e leggere, nelle note distribuite all’ingresso, un’introduzione al concetto di vita monastica ed eremitica che accosta fra loro esperienze anche molto lontane dai confini del cattolicesimo.

Quando ero una scout, una delle giornate che mi piacevano di più al campo estivo era quando ai più grandi (15-16 enni) veniva prescritta la “giornata del silenzio”, che ciascuno di noi avrebbe dovuto trascorrere esplorando da solo il bosco, pranzo al sacco e quaderno per gli appunti. In molti baravano e si davano appuntamento un po’ lontano dal campo, magari fra morosi; io invece me ne stavo felicemente da sola, non per senso del dovere (col moroso dell’epoca ci imboscavamo la notte, uscendo di nascosto dalle tende), ma perché camminare da sola mi dava un senso di impagabile libertà. Non potrei vivere sempre in eremitaggio, ma quando incontro la solitudine scelta e vissuta consapevolmente è sempre come se il mio respiro si facesse più ampio e profondo.

Insomma alla fine nella nostra “giornata di pausa” abbiamo camminato per più di tre ore, ma è andata benissimo così. Ero un po’ preoccupata dal ritorno, che in genere prende più tempo perché la salita dagli 800 del Monastero ai 1.300 circa del crinale è lunga, ma per nostra grande fortuna quest’anno una piccola cooperativa di Stia ha iniziato a sperimentare un servizio di bus navetta per escursionisti, attivo nei weekend (il prossimo sarà l’ultimo, quindi se volete approfittarne partite al volo!).

Il bus fa la spola fra il monastero di Camaldoli e Badia Prataglia passando per l’Eremo e per varie tappe sul percorso di crinale: noi ci siamo fatti lasciare a Prato alla Penna, sul crinale 00, un ottimo punto per riprendere la Giogana in direzione La Calla.

Prato alla Penna è un po’ oltre il punto in cui all’andata si scende verso Camaldoli, ma partendo da qui vi risparmiate 500 mt di dislivello in salita, e fate tutto il ritorno sul falsopiano del crinale; e poi in questo punto il bosco è veramente splendido, perché ai faggi si alternano gli aceri – tornare in autunno, senz’altro!

Partiti alle 11 da Prato alla Penna col sole, dopo un’ora di cammino siamo entrati in una nuvola che in pochi minuti si è trasformata in pioggia, sottile ma tenace: per qualche oscuro motivo, questo inconveniente ha “caricato” Guido, che ha fatto tutto il sentiero senza mai lamentarsi o reclamare una pausa. Abbiamo “tirato” oltre Poggio Scali, e ci siamo fermati all’una e venti in un punto in cui alcuni enormi massi di arenaria creano una piccola grotta: qui abbiamo mangiato velocemente, mentre fuori dalla grotta per fortuna la pioggia iniziava a calare.

pranzo in grotta sul crinale

L’ultimo tratto del sentiero l’abbiamo fatto quasi di corsa, più che altro per riscaldarci, e infatti siamo arrivati al Passo della Calla nelle tre ore e 20′ previste dalle guide; un debole sole bucava le nuvole, ma il termometro dell’auto segnava 10°C, a memoria che in montagna, anche sul domestico Appennino, bisogna sempre partire attrezzati per ogni possibile scherzo del tempo.

Viaggiare a piedi ti fa entrare una terra dentro, come tutte le esperienze che ti impegnano il corpo e non solo la mente. Se c’è una cosa che mi rende felice è vedere che sta cominciando a piacere anche a Guido, magari è fortuna, e magari per una volta abbiamo avuto abbastanza pazienza da provarci.

 

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