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pensieri, letture, allegrie e sconforti di una che fa le cose con passione

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Kindle, due settimane dopo

Sono passate oltre due settimane da quando mi è arrivato il Kindle, e posso serenamente confermare la soddisfazione dei primi giorni di uso.

Ho appena letto l’ottimo articolo di Luca De Biase, che su Nova24 scrive gran parte delle cose che penso anch’io: ottima leggibilità, immediatezza d’uso, punto di forza nel consentire acquisti d’impulso, e voglia di “avere di più”, non tanto in termini di caratteristiche tecniche dell’oggetto, ma proprio più libri e più cose da leggere.

Aggiungo alcune considerazioni: il Kindle è un perfetto esempio di prodotto “buono abbastanza” per avere successo. Non risponde ai desiderata di chi si sofferma a disquisire di standard chiusi, colori, opzioni aggiuntive per sfruttare la connessione wi-fi, e così via, ma soddisfa abbondantemente chi vuole uno strumento per leggere, comodo, ben fatto e semplice da usare. E viene venduto a un prezzo accettabile, il che gli permetterà secondo me di aprire finalmente un mercato di dimensioni interessanti per gli editori (e probabilmente per altri produttori di e-book).

Gli acquisti d’impulso: questo sarà un motore strepitoso. Navigo nella libreria Amazon, vedo un sacco di titoli interessanti, posso farmi mandare un’anteprima gratuita, che mi arriva direttamente sul Kindle; leggo prefazione e primo capitolo, non di fretta come farei in una libreria, ma comodamente seduta in poltrona, e arrivo al pulsante “acquista con un click”. Sfido chiunque a resistere alla tentazione di ricevere il resto del libro, tempo un minuto, direttamente in mano. Ci metterei più tempo a far la coda alla Feltrinelli, probabilmente..

E infatti, ne vorrei di più: più libri, più giornali, soprattutto in italiano. Mi scoccia terribilmente quando cerco un libro e scopro che esiste solo nell’edizione di carta. Mi scoccia ancor di più constatare che la differenza di prezzo non è poi tanta, certo con la carta dovrei metter su anche i costi di spedizione (e il tempo, e i disservizi di Poste Italiane), ma mi è perfino capitato di trovare un libro che, grazie a un’offerta sull’edizione paperback, costa addirittura di più nella versione Kindle 😦

E infine, l’eterno lamento sul piacere della carta. Me lo sento ripetere da molti, quasi tutti trenta-quarantenni, cioè persone che teoricamente dovrebbero avere preso in questi anni un po’ di confidenza con la tecnologia e i suoi vantaggi. Ma quale piacere, per quale carta? Il piacere è nelle idee, nelle storie, nelle informazioni. Il piacere è nella carta bella, quella su cui si stampano belle foto, belle illustrazioni, cose per cui vale la pena scegliere materiali raffinati, bravi grafici, tipografi esperti. Il piacere è poter leggere una storia senza portarsi in spalla il peso, così come ascoltiamo la musica che amiamo tutta raccolta in un oggetto che ci sta in tasca.

Mia madre ha da poco compiuto 71 anni, e non ha mai imparato a programmare il videoregistratore; le ho dato in mano il Kindle, su cui le avevo aperto la prima pagina de La Stampa; le ho fatto vedere il tasto “next page”, ha detto “bello!” e si è messa a leggere; e poi ha fatto i suoi commenti, ma non erano commenti sul Kindle, erano le sue opinioni sulla notizia che stava leggendo.

mia madre legge La Stampa sul Kindle

mia madre legge La Stampa sul Kindle

Questo secondo me è il miglior commento sull’usabilità del Kindle e, più in generale, dei lettori di e-book.

Kindle experience #1

Non appena Amazon.com ha annunciato che avrebbe venduto il Kindle anche fuori dagli Stati Uniti, ho ceduto alla tentazione, e, senza aspettare Babbo Natale, sono corsa sul sito a ordinarne uno.

In quel momento, si trattava solo di una prenotazione, con

Delivery estimate: October 21, 2009 – October 23, 2009
Shipping estimate for these items: October 19, 2009

Puntuale come sempre, il 19 ottobre Amazon.com mi ha informata dell’avvenuta spedizione, e, superando ogni mia più rosea aspettativa, il Kindle è arrivato a casa mia il 21 ottobre.

In breve: sono molto soddisfatta del mio acquisto.

  • il peso è quello giusto per stare bene in mano, anche quando leggo a letto
  • leggere è altrettanto piacevole che sulla carta, non stanca gli occhi, neppure la sera alla luce della lampada da comodino
  • il cambio pagina è veloce
  • l’Oxford Dictionary of American English a portata di click su ogni parola è un bel regalo quando, leggendo testi in inglese, mi viene un dubbio (magari per molti di voi questo è un lusso superfluo, ma a me ogni fa comodo)
  • è davvero bello. Col tocco di grazia delle “copertine” ogni volta diverse che vengono mostrate quando va in stand-by (le sto fotografando tutte)

Ho acquistato subito un libro, Groundswell, a $13.79 (meno della metà del costo dell’edizione di carta), e lo sto leggendo, senza alcun problema.

Mi sono anche fatta convertire un po’ di PDF che languivano sull’hard disk del mio Mac in attesa di essere letti, usando il servizio gratuito Amazon.com (si manda il documento a <nomeaccount>@free.kindle.com, e questo torna indietro per email, pronto per essere trasferito via USB dal Mac al Kindle).

Ho anche attivato il free-trial de La Stampa, per vedere l’effetto che fa leggere il giornale in versione e-newspaper. La prima piccola delusione è stata, il giovedì mattina, vedere che l’edizione quotidiana era in ritardo, e, invece che alle 7:45 (che è comunque troppo tardi, non tanto per me ma per chi fa il pendolare in treno, o comunque si alza presto), mi è arrivata verso le nove. In ogni caso leggere il quotidiano sul Kindle è diverso, manca a mio parere una visione “a colpo d’occhio” che permetta di scegliere gli articoli da leggere, e ci ho messo un po’ di tempo a trovare il modo di vedere l’indice degli articoli sezione per sezione invece di scorrerli uno dopo l’altro. Ma forse è solo questione di abitudine, già oggi me lo sono goduto di più.

Avrei voluto confrontarla con la versione Kindle del Corriere della Sera, ma, con mio grande disappunto, ho scoperto che è disponibile solo per i Kindle USA. Signor Corriere della Sera, sappi che io non ti compro tutte le mattine (ormai i quotidiani di carta non li compero più, tranne il 24ore), quindi, avessi deciso di sottoscrivere un abbonamento alla tua versione elettronica, avresti guadagnato un cliente pagante, non perso una copia in edicola. Continuerò a leggerti a gratis nella sola versione online..

Ai nostalgici della carta: ho appena soeso l’impressionante cifra di 5 euro e spiccioli per comprare la versione e-book di Cat’s eye, uno dei miei romanzi preferiti, uno dei più belli di Margaret Atwood. L’ho fatto proprio perché nei giorni scorsi avevo iniziato a rileggere la mia copia di carta, un paperback che ha ormai una ventina d’anni, ed è – vi assicuro – buono per il macero, carta ingiallita che non da alcun piacere tattile, anzi, quando lo leggo fra le lenzuole mi verrebbe quasi voglia di andarmi a lavare le mani prima di dormire. Lo lascerò senza rimpianti in un punto bookcrossing, e mi rileggerò il libro sul Kindle; magari certe parti potrei addirittura farmele leggere, visto che è uno dei libri con la versione “text-to-speech” disponibile.

Nella mia grande pigrizia, non ho ancora studiato bene come si fa a prendere appunti, mettere segnalibri, cambiare la voce dello speaker da uomo a donna… insomma, lo sapete che per queste cose sono poco geek 😉 Però in questo modo avrò materiale per almeno un altro post, o nel frattempo ve lo sarete comprati anche voi quindi risparmierò un po’ di tempo per leggere.

Ah, dimenticavo. Nel frattempo, Amazon.com ha deciso di abbassare di 20 dollari il prezzo del Kindle International. E mi ha restituito (a me come a tutti quelli che hanno acquistato il Kindle International al vecchio prezzo) i 20 dollari pagati in pù rispetto al prezzo attuale. Sono belle notizie, davvero: è così che si trasformano i clienti in entusiasti sostenitori di un servizio.

questo resta un blog ateo e materialista

.. nel caso a qualcuno fossero venuti dei dubbi, o vi avessero raccontato altro 😉

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Uno dei momenti più duri, la fine della trasferta in bus da Lima a Huànuco, quando il mio stomaco si è ribellato ai 3000 metri (in altitudine) di tornanti. Foto di Giampiero Corelli.

Sono rientrata ieri notte, e ho passato la giornata di oggi a mettere in lavatrice il contenuto della mia valigia e a raccontare i momenti e le impressioni del viaggio in Perù all’ingegnere e, quando aveva la pazienza di seguirmi, a Guido.

Per una settimana ho viaggiato con un gruppo di cattolici ravennati, guidati dal loro arcivescovo, ritrovando – dopo quasi trent’anni che ne sto fuori – i temi e i riti della mia gioventù cattolica.

Dal punto di vista umano, è stata un’esperienza davvero ricca e intensa. Abbiamo visto da vicino (e annusato, e gustato, e toccato, e ascoltato) una regione poverissima, dove la gente vive in condizioni che oggi, nel nostro terzo millennio occidentale e iperconnesso, sono difficili da immaginare.

Ho scattato molte foto, quasi tutte alle persone che incontravo, persone che, con mio grande stupore, ci accoglievano con un’allegria e una spontaneità che non avrei mai immaginato di trovare. Per mia fortuna, non sono una persona schizzinosa, e l’intensa emozione del viaggio deve avermi fatto impennare le difese immunitarie, quindi sono rimasta intoccata sia dal mal d’altura, sia dal Montezuma. Il racconto del viaggio è sul sito www.padremorini.org, sito che conto, fra qualche settimana, di lasciare in gestione ai ragazzi che seguono dall’Italia don Stefano.

Dato che ero là per raccontare, e che, passato il capoluogo di distretto, Internet era praticamente inesistente, ho usato Twitter via SMS; dopo una giornata, i miei compagni di viaggio hanno iniziato a venire da me, felici come bambini, per raccontarmi che da casa i loro amici e parenti mi leggevano, ed è stato bellissimo; ho così “evangelizzato” ai social network un gruppo di persone che normalmente, per età e anche un po’ per estrazione culturale, fanno parte della schiera di quelli che “Internet è il male”, compreso l’arcivescovo che, con grande curiosità, mi ha fatto mille domande sul lavoro che stavo facendo.

Ne ho concluso che, come in ogni evangelizzazione, la buona novella non bisogna “dirla a parole”, ma bisogna “metterla in atto”, dimostrandone l’effettiva bontà.

Scrivere senza conversare è stato per me difficile: normalmente, leggo i commenti alle cose che scrivo e mi sento costantemente immersa nella conversazione con le persone a cui sono legata. Dalle Ande, invece, spedivo messaggi in bottiglia, gli unici feedback quelli che mi venivano riferiti dai miei compagni di viaggio; così, appena sono riuscita a riavere una connessione, mi sono subito collegata a FriendFeed, sperando di trovarci qualcuno nonostante in Italia fosse notte fonda. La comunicazione, o è interazione, o non funziona.

Riguardo al titolo di questo post, nei giorni scorsi ho inevitabilmente riflettuto sulle spiegazioni che ci costruiamo per “dare un senso a questa storia”. Passato il livello della soddisfazione dei bisogni di base – la sopravvivenza quotidiana, con cui sulle Ande ancora la maggior parte della gente fa i conti tutti i giorni – o ci sbattiamo senza senso, o ci creiamo valori che diano significato alle nostre giornate, al di là del trasmettere i nostri geni alla prole. La religione è senz’altro una soluzione funzionale: organizzata, solida, portabile (ne esistono versioni semplificate per i derelitti, e teologie avanzate per gli intellettuali), con vantaggi sociali e politici. Per chi non voglia adottarla, è comunque possibile darsi un senso e un’etica personale; nella mia, è rimasto qualcosa del motto scout “lasciamo il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato”, e c’è molta curiosità per tutto ciò che è umano, religione compresa.

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La foto, sempre di Corelli, mi ritrae mentre ascolto don Stefano Tognetti, un prete vicentino che vive da 18 anni a Huàrez, sulle Ande Centrali peruviane

per una nuova ecologia della comunicazione # 4

Alcune riflessioni sulle possibili strategie competitive.

In ecologia il modello della selezione r-K descrive due possibili tipi di strategie competitive: la strategia r, basata sul potenziale riproduttivo, e la strategia K, basata sulla capacità portante dell’ambiente.

Le specie a strategia r (spesso definite come opportuniste o pioniere) basano la propria competitività su un alto potenziale riproduttivo: fanno tanti figli, la maggior parte dei quali è destinata a non sopravvivere fino all’età adulta, e tendono a riprodursi velocemente fino a saturare la capacità portante dell’ambiente; a questo punto, sono soggette a crolli drastici dovuti al rapido aumento dei tassi di mortalità. In queste specie la competizione intraspecifica (cioè fra individui della stessa specie) è molto alta, e il successo dipende dalla capacità di sfruttare al massimo le risorse disponibili.

Al contrario, le specie a strategia K puntano su elevate capacità di adattamento all’ambiente e uso efficiente delle risorse naturali. Queste specie crescono più lentamente, perché ciascun individuo si riproduce più tardi e fa meno figli; dedicano peraltro più risorse di cura alla prole, e, di conseguenza, la mortalità giovanile è più ridotta. La competizione all’interno della specie è limitata dall’instaurarsi di dinamiche sociali più articolate, ad esempio la territorialità, ed emergono comportamenti sociali e collaborativi. La rete di interazioni più fitta aumenta la stabilità del sistema nel suo complesso, e la numerosità della popolazione non è soggetta a picchi e crolli, ma oscilla intorno a un punto di equilibrio che dipende dalla capacità portante dell’ecosistema.

Le due strategie hanno maggiore o minor successo in relazione alle caratteristiche dell’ambiente: in situazioni instabili (ad esempio, gli estuari dei fiumi), caratterizzate da ampie oscillazioni delle condizioni ambientali, sono avvantaggiate le specie r; in ecosistemi maturi e più produttivi (ad esempio la foresta equatoriale) sono le specie K a prevalere.

Comportamenti collaborativi, alto livello di interazioni, trasmissione culturale dei comportamenti, alto livello di diversità, sono fenomeni che si manifestano e possono prosperare solo in ambienti del secondo tipo, perché gli ambienti di primo tipo sono intrinsecamente troppo poco stabili per consentire il consolidamento dei rapporti.

Se analizziamo il mercato come un ecosistema, vediamo che anche qui esistono strategie competitive diverse, che hanno successo in contesti diversi. Nelle situazioni instabili prevalgono le strategie “tutto e subito”, che privilegiano quantità, basso investimento individuale, opportunismo e velocità. Man mano che ci si sposta verso situazioni più “mature”, diventa più vantaggioso adottare una strategia K, basata su un uso equilibrato delle risorse in grado di manterle nel tempo, e su “pochi progetti ma ben curati”.

A questo punto, ciascuno può valutare che tipo di strategia competitiva gli si addice di più, e scegliere, di conseguenza, in quale tipo di ambiente muoversi. Per garantirsi il successo, occorrerà però non solo competere all’interno del proprio ambiente, ma anche lavorare – insieme agli altri attori del proprio ecosistema – per mantenere in salute l’ambiente stesso, evitando che venga scalzato da ecosistemi concorrenti.

Infatti anche gli ecosistemi in un certo senso competono fra loro: le dune tendono ad avanzare sulla spiaggia, e sono incalzate alle spalle dalla macchia mediterranea e dalla pineta; la foresta matura soffre dell’assedio delle piantagioni; il bosco si riappropria gradualmente dei pascoli abbandonati.

Salvaguardare il proprio ecosistema è particolarmente importante per chi adotta una strategia K, dato che gli ambienti ad alto livello di complessità dipendono da condizioni di equilibrio e stabilità, e soffrono in modo anche drammatico di eventi di degrado che rompano questo equilibrio; richiedono quindi una manutenzione costante e amorevole.

per una nuova ecologia della comunicazione #3

La buona comunicazione è utile nella misura in cui sono buoni il prodotto e il servizio che stiamo proponendo. Le persone non si metteranno a parlare di quanto sia buona o cattiva la vostra comunicazione, ma certamente parleranno di quanto sono soddisfatti o insoddisfatti di voi.

Se vi occupate di comunicazione per lavoro, è possibile che abbiate la tendenza a ignorare questa realtà, perché spesso vi trovate a discutere di comunicazione con altre persone che, come voi, lavorano in questo settore. Ma rifletteteci bene, e capirete che questa è solo in apparenza un’eccezione alla regola. Infatti, neppure voi o i vostri colleghi scegliete di acquistare un prodotto o servizio scadente solo perché è “ben comunicato”.

Tuttavia, se si offre un buon prodotto o servizio, comunicare in modo aperto e trasparente, offrire chiarezza e informazioni, e mettere a proprio agio le persone curando ambienti, testi, confezioni, migliorerà l’esperienza che le persone hanno usando il prodotto o il servizio, e aiuterà a creare un rapporto ricco e gratificante per tutti.

per una nuova ecologia della comunicazione #1

[Sto rimescolando in testa varie riflessioni che ruotano intorno all’idea di una comunicazione più leggera ed ecologica, dove i due aggettivi “leggera” ed “ecologica” assumono di volta in volta significati diversi. Si tratta a volte di brevi pensieri, a volte di riflessioni più articolate, che devono ancora essere messe in ordine, ma che voglio iniziare a pubblicare sia per impegnarmi con me stessa a ragionarci bene sopra, sia per scambiare opinioni e ricevere contributi.]

Non possono coesistere a lungo una buona comunicazione esterna (diretta a clienti e mercato) e una cattiva comunicazione interna (diretta a collaboratori e fornitori).

Le persone che lavorano in un’azienda sono le stesse che parlano fuori dall’azienda, di quell’azienda, dei suoi prodotti, servizi, e metodi di lavoro. Solo se queste persone si sentono rispettate, coinvolte e partecipi, potranno rappresentare l’azienda in modo positivo, sia nelle conversazioni interne che in quelle esterne.

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