Ho seguito per quasi tutta la giornata di oggi la discussione partecipata e interessante su FriendFeed, scatenata da una domanda di Mafe, in un post di Punto Informatico che in sintesi chiede “sono nel giusto quando continuo a sostenere che il buzz a pagamento non funziona?”.
Complice l’imminente bicentenario della nascita di Charles Darwin e un po’ di libri su evoluzione e dintorni che sto rileggendo, continuo a ragionare sull’argomento con gli occhiali dell’evoluzionista.
Dunque Mafe domanda “la strategia dei fake e del buzz a pagamento funziona? barare funziona?”. Le risposte sono a grandi linee di due tipi: chi sposta il problema sul piano dell’etica, con argomenti del tipo
- non è importante se funziona o meno, è comunque una cosa scorretta
- che male ci sarebbe a farsi pagare, se poi lo si dichiara?
- lo fanno anche i giornalisti
e chi invece si mantiene nell’ambito delle considerazioni sulla validità o meno, in termini di risultati, del “barare”:
- funziona
- non funziona
- funziona sul breve, ma poi nel medio-lungo periodo no
e varianti sul tema.
Nell’ottica darwiniana, la dinamica evolutiva avviene sulla spinta di due fattori: da una parte, le specie producono più progenie di quanta ne può sopravvivere, e all’interno di ogni specie gli individui non sono tutti identici; dall’altra, la spinta selettiva favorisce gli individui con le varianti maggiormente adattative, e il differenziale riproduttivo aiuta tali varianti a diffondersi sempre più.
La banalizzazione delle teorie evolutive – facilitata dal loro essere radicalmente a-finalistiche, e quindi in contrasto con la tendenza umana a “darsi una ragione” per ogni cosa – porta spesso a darne una lettura semplicistica e caricaturale, in cui si prende un singolo carattere (ad esempio, la lunghezza del collo nelle giraffe) e gli si assegna la responsabilità di definire, lui solo, il vantaggio competitivo dei singoli individui.
In realtà, i “fattori critici” che possono influire sulla selezione sono sempre contemporaneamente molteplici, e questo fa sì che caratteri svantaggiosi possano rimanere presenti all’interno di una popolazione, perché trasmessi da individui portatori di varianti vantaggiose di altri caratteri, tali da compensare i fattori negativi. Esempio banalizzante: una giraffa col collo più corto della media potrebbe tuttavia sopravvivere – e quindi dare origine a una discendenza di giraffe a loro volta bassine – perché dotata di una variante di enzima digestivo in grado di farle digerire varietà di piante che risultano invece indigeste alle altre giraffe.
Quindi, l’analisi di un singolo carattere – nonché l’osservazione sulla sopravvivenza di individui che ne manifestano una certa variante – può non essere conclusiva rispetto alla valutazione del vantaggio competitivo che quel carattere fornisce.
In termini di marketing: se un prodotto lanciato inizialmente tramite una campagna di fake buzz ha avuto successo, prima di concluderne che il fake buzz funziona, dovremmo essere certi che il successo non è dovuto invece ad altri fattori, quali ad esempio l’intrinseco valore del prodotto.
Inoltre, i vantaggi competitivi non sono quasi mai assoluti, ma in genere dipendono dal contesto ambientale in cui si manifestano. Un collo lungo è senz’altro un asset nella savana, dove mette a disposizione foglie di acacia da brucare, ma sarebbe un inutile ingombro – e ben costoso da mantenere – nella tundra.
Leggesi: se vendo prodotti mordi e fuggi (es un favoloso investimento-truffa con tassi d’interesse a due cifre), o mi rivolgo a un mercato poco propenso allo spirito critico (es pensionati teledipendenti), un buzz a pagamento può essere un ottimo investimento, nel primo caso perché non devo preoccuparmi del medio termine, nel secondo perché è improbabile che il fake venga scoperto. Al contrario, se invece vendo prodotti o servizi con l’obiettivo di creare una relazione che si consolida nel tempo, farei meglio a investire e sul prodotto in sè, e sulla qualità della relazione (es assistenza post-vendita, garanzie, evoluzione dell’offerta..).
Questa considerazione permette anche, a mio modesto parere, di affrontare l’annoso quesito etico “sono costretto a fare marchette?”. Se non mi va di giocare sporco, posso da una parte selezionare l’ambiente in cui vado a giocare, rivolgendomi a mercati in cui si giochi secondo certe regole; e, dall’altra, cercare di “modificare la direzione della pressione evolutiva”, contribuendo a fare sì che i comportamenti scorretti non risultino poi così vantaggiosi (es. sputtanando un po’ chi gioca sporco).
Quanto ai cinici che si giustificano con lotta per la sopravvivenza e concetti simili, non posso che ricordare che si può vincere in molti modi, e che è dimostrato che anche alcuni comportamenti altruistici sono selettivamente vantaggiosi. In natura, c’è chi vince sterminando i concorrenti, e chi vince creando simbiosi con potenziali concorrenti per sfruttare meglio le risorse.
Ovviamente, le specie in quanto tali non scelgono le strategie in termini di etica. La specie uomo tuttavia è singolare, sia per la sua grande variabilità (siamo diffusi in tutto il globo proprio perché abbiamo sviluppato nel tempo un’enorme varietà di possibili adattamenti), sia per il singolare sviluppo delle facoltà cerebrali e linguistiche. La nostra mente si è evoluta nel tempo per pensare in termini di obiettivi e intenzioni, arrivando ad attribuire significati astratti e spiegazioni sovrannaturali ai fenomeni fisici. Di conseguenza, ci poniamo problemi etici che la maggioranza degli individui di altre specie, verosimilmente, non potrebbe neppure concepire.
E’ questo che ci caratterizza come umani – e uso intenzionalmente il termine più neutro possibile, “caratterizza”, non “distingue” né tantomeno “eleva”. L’evoluzione non è finalistica, accade semplicemente: l’adattamento per gli uomini è consistito nel diventare sociali e, spesso, etici; per alcune vespe, nell’imparare a paralizzare un bruco, e usarlo poi come incubatore delle proprie larve. Agli occhi della vespa, i nostri dubbi etici semplicemente non hanno alcun senso. Ma, se vogliamo funzionare bene in quanto esseri umani, un po’ di schifo gli sfruttatori dovrebbero farcelo 😉
In conclusione: Mafe e gli altri, cerchiamo di mantenere, quantomeno nel nostro angolo di rete, ma se possibile anche un po’ più in là, un ambiente decente, in cui la pressione evolutiva favorisca individui della variante “persona corretta” rispetto al fenotipo “lurido bastardo”. OK?